martedì 12 marzo 2024

Orientalismo vero e presunto

Orientalismo vero e presunto

Equivoci e fraintendimenti sull'opera di Hiroki Azuma
di Cristiano Martorella

La pubblicazione in Italia del libro Generazione Otaku (1) di Hiroki Azuma ha riproposto una serie di questioni spesso equivocate e fraintese, su cui è bene fare chiarezza. Alcune argomentazioni hanno infatti inquadrato il volume nell'ambito della polemica sull'orientalismo (2). Il termine orientalismo, in una accezione fortemente negativa e dispregiativa, indica un atteggiamento essenzialista che stabilisce un insieme eterogeneo di preconcetti e stereotipi sulla civiltà orientali. Il problema più grave della polemica contro l'orientalismo è lo squlibrio di questa posizione teorica che non fa distinzioni e rischia di negare le specificità delle società asiatiche e le differenze culturali.
La critica contemporanea all'orientalismo è contigua e complice dell'attacco al relativismo tipico della nostra epoca. Non capirlo significherebbe altrimenti essere incantati dalla retorica logorroica della polemica fine a se stessa, perché orientalismo e relativismo culturale sono strettamente connessi. Dal punto di vista storico, infatti, l'orientalismo nasce con l'Illuminismo nel XVIII secolo, quando i philosophes formularono l'idea di relativismo (3) fondamentale a scardinare le certezze teologiche delle epoche precedenti.
Postulare la differenza di valori, credenze, culti religiosi e istituzioni delle società non è soltanto un vezzo dei relativisti, ma è un metodo necessario e indispensabile per lo studio di qualsiasi società. Se non si applica il metodo del relativismo culturale si cade nel più becero etnocentrismo e nell'ottuso dogmatismo, o perfino nell'irrazionalismo e nella superstizione. Dunque l'orientalismo non può essere ridotto e considerato come una deformazione o tendenza equivoca, ma deve essere valutato contestualmente in relazione ai fatti storici.
L'aggravante nell'uso negativo del termine orientalismo proviene dalla citazione impropria del lavoro di Edward Said che invece ne fece un uso in un ambito filologico molto circostanziato. Infatti si è abusato degli studi dell'arabo Edward Said per rigettare la storiografia sulla civiltà giapponese, in modo da evitare qualsiasi confronto con i nipponisti e invalidare la ricerca scientifica. Se visto sotto un certo punto, ciò risulta molto buffo. Edward Said, intellettuale palestinese nato a Gerusalemme nel 1935, cita la Cina e il Giappone per far notare la confusione che avviene in orientalistica utilizzando le stesse idee per civiltà estremamente differenti (4). L'errore denunciato da Said è il medesimo che viene compiuto da chi usa il suo stesso lavoro indirizzato esclusivamente al mondo islamico per spiegare il Giappone. Edward Said nel suo libro intitolato Orientalismo, cita il Giappone soltanto sei volte e quasi sempre per indicarne le diversità dal contesto analizzato. Il fatto che il lavoro di Said sia rivolto in modo particolare al mondo islamico è dichiarato esplicitamente dall'autore, come risulta dal seguente passaggio:

"Per ragioni che esporrò tra breve ho ulteriormente limitato questo ambito di ricerca (comunque ancora estesissimo, a ben guardare) all'esperienza anglo-francese-americana nel mondo arabo e islamico, che per quasi mille anni è stato da molti punti di vista il paradigma di tutto l'Oriente. Sono così rimaste escluse vaste zone dell'Oriente geografico e culturale - India, Giappone, Cina e altre regioni dell'Estremo Oriente - , non perché queste ultime non siano importanti (è anzi ovvio che lo sono), ma perché l'esperienza europea del Vicino Oriente e del mondo islamico può essere discussa separatamente da quella dell'Estremo Oriente." (5)

Gli imitatori incauti di Edward Said, ovvero coloro che usano le sue idee in modo improprio e fuorviante, hanno cercato di sostenere che ogni studio sulla società giapponese fosse una semplice rappresentazione astratta, e soprattutto hanno contestato l'unità culturale nipponica frantumandola in decine di subculture ancora più astratte della cultura originaria. Il risultato è affascinante, ma pieno di equivoci, fraintendimenti e falsità. Soprattutto risulta ambiguo il tentativo di fornire un quadro alternativo della cultura giapponese che è però in contraddizione con la cultura tout court.
Questi equivoci sull'orientalismo sono pericolosi perché favoriscono il rischio della negazione di fatti storici accertati, sbrigativamente etichettati come preconcetti e stereotipi. Ciò non è soltanto assurdo, ma mina profondamente la credibilità degli studi inerenti alle civiltà orientali. Per quanto riguarda il Giappone, per esempio, una cattiva interpretazione dell'orientalismo impedisce di comprendere il fatto storico dell'ascesa della borghesia nell'epoca Edo (1603-1867). L'idea rozza che l'antiorientalismo presenta con superficialità, sostiene che il periodo Edo fosse caratterizzato da uno sfruttamento delle classi di contadini, artigiani e mercanti da parte dell'aristocrazia (6). In realtà è vero l'esatto contrario. La classe emergente dei commercianti aveva assunto un potere tale da condizionare i samurai. I samurai erano pagati in riso, e per ottenere la moneta necessaria, dovevano convertire il riso in denaro presso i mercanti che speculavano fortemente sul cambio. Inoltre i samurai si indebitavano spesso con i mercanti ed erano vittime di ricatti e pressioni. Le quattro classi (shimin) erano composte da aristocrazia guerriera (bushi), contadini (nomin), artigiani e commercianti (shomin). Nell'epoca Edo la classe emergente era quella dei commercianti. Addirittura molti samurai rinunciarono al loro status per diventare commercianti. Il caso più eclatante fu quello di Takatoshi Mitsui (1622-1694) che fu fra i primi a rinunciare al rango di samurai per divenire commerciante fondando i negozi Mitsui, in seguito conosciuti come un potente zaibatsu (ancora oggi esistente). Perciò si può affermare che la società giapponese sia stata caratterizzata nel suo sviluppo storico da una notevole mobilità sociale, aspetto estremamente trascurato dagli studiosi.

In conclusione, la polemica sull'orientalismo presenta più criticità dello stesso orientalismo, e offre molti più stereotipi e preconcetti. La polemica, quindi, non è soltanto inconcludente ma anche inaffidabile. Si dice che l'epoca postmoderna sia caratterizzata dall'incertezza e dall'ambiguità, ma se ciò influisce anche sulla ricerca scientifica mancando una conoscenza rigorosa e precisa, si rischia di essere invischiati in un irrazionalismo indefinito e farraginoso.


Note

1. Azuma, Hiroki, Generazione Otaku. Uno studio della postmodernità, introduzione e cura di Marco Pellitteri, Jaca Book, Milano, 2010. Il titolo originale dell'opera è però diverso: Un postmoderno animalizzante. Cfr. Azuma, Hiroki, Dobutsuka suru posutomodan. Otaku kara mita Nihon shakai, Kodansha, Tokyo, 2001.
2. Sulla questione dell'orientalismo si consulti l'edizione italiana del libro di Hiroki Azuma. Cfr. Azuma, Hiroki, Generazione Otaku, op. cit., p.27.
3. Ciò dovrebbe essere ben noto anche a chi non ha approfondite conoscenze accademiche, ma ha semplicemente frequentato un corso di filosofia in qualche liceo. Si consulti, per esempio, un celebre volume di Nicola Abbagnano. Cfr. Abbagnano, Nicola, Storia della filosofia. La filosofia moderna dei secoli XVII e XVIII, vol.4, TEA, Milano, 1995, pp. 236-281. L'opera più ferocemente relativista e ironica è comunque il racconto Micromega di Voltaire, in cui un abitante della stella Sirio deride la credenza che l'uomo sia il centro e il fine dell'universo. Nel Contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau si fa notare come la società umana sia una costruzione artificiale, e quindi relativista, che è spesso in contrapposizione con la spontaneità della vita naturale.
4. Edward Said aveva messo in evidenza queste differenze in un suo articolo sul Giappone. Cfr. Said, Edward, Un arabo a Tokyo, in AA.VV., Sol Levante, Internazionale, Roma, 1996, pp. 69-72. L'articolo era apparso sul quotidiano "Al-Hayat" del 10 luglio 1995.
5. Said, Edward, Orientalismo. L'immagine europea dell'Oriente, Feltrinelli, Milano, 2001, pp. 25-26.
6. Sulla questione si consulti Azuma, Hiroki, Genererazione Otaku, op. cit., pp. 25-26.