sabato 30 gennaio 2010

Educazione creativa

La scheda della recensione del volume L'educazione creativa pubblicata dal sito Nipponico.com.


Makiguchi Tsunesaburo,
L'educazione creativa,
La Nuova Italia, Firenze, 2000
pagine 250

Quanto sia avanzata la pedagogia giapponese è questione ignota ai lettori italiani avvezzi ai servizi giornalistici sulla cultura giovanile fra i più bizzarri. Per fortuna alcuni studiosi riescono a fornire contributi importanti come il presente testo che costituisce una selezione degli scritti di Makiguchi Tsunesaburo contenuti in Soka kyoikugaku taikei (Il sistema della pedagogia creatrice di valore). La traduzione dall'inglese è di Fiorella Oldoini, mentre l'edizione internazionale edita dalla Soka Gakkai nel 1989 è stata curata da Dayle Bethel, che ha aggiunto molte note esplicative ricche e ben documentate. L'introduzione italiana è di Massimiliano Tarozzi che contestualizza il pensiero di Makiguchi alla luce del percorso delle scuole pedagogiche di altri paesi compreso il nostro.
Makiguchi pubblicò nel 1930 il primo volume della sua opera, che sarà costituita in totale da quattro volumi nonostante il progetto ne prevedesse dodici. L'autore aveva già scritto precedentemente due libri, Jinsei chirigaku (Geografia della vita umana, 1903) e Kyodoka kenkyu (Studio delle comunità locali, 1912), quest'ultimo nato dalla partecipazione al Kyodokai guidato dal celebre studioso Yanagita Kunio.
Secondo Makiguchi lo scopo principale dell'educazione è la felicità. Per giungere a ciò bisogna però rivedere profondamente la concezione dell'uomo e la società in cui è inserito. La società non deve essere repressiva in alcun caso, ma deve contribuire allo sviluppo e alle propensioni dell'essere umano. Non è sbagliato il desiderio di realizzazione dell'individuo e un sano individualismo che contribuisca al rispetto della persona, se questo però non eccede tramutandosi in egocentrismo. L'aspetto fondamentale della teoria pedagogica di Makiguchi è l'idea che l'essere umano sia il creatore di valori. Lo scopo della pedagogia diventa dunque sviluppare nell'individuo una coscienza d'appartenenza alla società e indicare gli obiettivi e i valori verso cui orientare la creatività umana. In particolare, il bene del bambino non va sfruttato come copertura dei propri interessi. Così Makiguchi spiega questo principio:


"In primo luogo è necessario stabilire cosa la società si aspetta dal sistema educativo. Ciò significa prendere in considerazione sia le aspirazioni dei genitori per i propri figli, sia le aspettative che la collettività ripone sulle generazioni future. Genitori che davvero amino i loro figli non penserebbero mai di strumentalizzarli per il proprio benessere. [...] Una società deve essere attenta al benessere e alle necessità di ogni bambino: se dovesse semplicemente preoccuparsi di trarre profitto da coloro che educa, il risultato sarebbe disastroso per l'una e per gli altri."

Manuela Gandini ha evidenziato il valore formativo e pacifista dell'opera nella sua recensione che ha anche un accenno polemico circa la società contemporanea.


"C'è qualche sinistra assonanza tra il nazionalismo degli stati totalitari dell'inizio del secolo scorso e l'attuale dittatura del consumo nelle democrazie. Nel primo caso i bambini venivano (e vengono in certi stati), educati a diventare sudditi o fedeli, nel secondo divengono consumatori acritici nel mondo delle merci. [...] Makiguchi (1871-1944), pedagogo e maestro di scuola elementare, battutosi per la trasformazione radicale dell'educazione del tempo, afferma la centralità del bambino con i suoi bisogni (quelli veri), e dichiara che lo scopo principale della formazione dell'individuo è la felicità. Una felicità scollegata dalla materialità che si costruisce attraverso lo sviluppo di una coscienza sociale, e la valorizzazione del senso di interdipendenza tra tutte le cose." [Cfr. Gandini, Manuela, Educazione contro la guerra, in "Il Sole 24 Ore", 22 dicembre 2002, p. 36.]


Così Manuela Gandini riscopre la grande attualità di Makiguchi Tsunesaburo. Non poteva mancare una recensione di Cristiano Martorella, che mette in evidenza gli aspetti attualissimi della pedagogia giapponese.


"La concezione innovativa di una pedagogia che pone la felicità come scopo dell'educazione e la diversità come ricchezza. La critica alla didattica che attraverso banali generalizzazioni crea pericolosi stereotipi oppure applica ricette particolari a casi differenti. Insomma un attacco dissolutore dei pregiudizi, dell'autogiustificazione e dell'idea che "la ragione è del più forte". Una concezione della pedagogia che Manuela Gandini ha definito "educazione contro la guerra" nella sua pertinente recensione all'opera di Makiguchi, ricordando l'impegno pacifista dell'autore. Invece Massimiliano Tarozzi riconosce in Makiguchi un precursore di don Milani, Montessori, Ciari, Dolci e Rodari. Ciò conferma quanto affermiamo da tempo sulla posizione avanzatissima della pedagogia giapponese che sia per l'esperienza sia per lo sviluppo teorico si trova molto più in là rispetto alla pedagogia occidentale intrappolata dal quesito di quanti "no" e "sì" dire ai bambini. Makiguchi sviluppa il suo sistema utilizzando due matrici culturali: la scienza, che è il contrario dello scientismo che considera la scienza come la risposta ad ogni esigenza umana, e il buddhismo, che nella versione giapponese di Nichiren elimina ogni superstizione e non pone un dio creatore. Questo equilibrio fra religione e scienza considera l'individuo in relazione con gli altri senza ignorare le singole esigenze, ma neppure isolandolo come un elemento meccanico della società. Una prospettiva incredibilmente innovativa per la nostra epoca dominata dagli estremismi dello scientismo, che pone come scopi dell'individuo falsi criteri scientifici, e il postmodernismo, che ci abbandona all'irrazionalità e alla perdita di senso. Un'epoca dove la parola felicità è diventata tabù." [Cfr. Martorella, Cristiano, Scaffale/Saggi, in "LG Argomenti", anno XXXIX, n. 2, aprile-giugno 2003, p. 89.]


In effetti, se letta con attenzione, l'opera di Makiguchi Tsunesaburo apre un orizzonte ancora ignorato dalla pedagogia occidentale.

giovedì 14 gennaio 2010

Abe Masao

Abe Masao, il filosofo della diversità
La logica del sokuhi come dialettica del cambiamento
di Cristiano Martorella

20 maggio 2008. In un'epoca che vede i pensatori occidentali arroccarsi sulla posizione conformista della condanna del relativismo culturale, considerato come la causa di tutti i mali della società contemporanea, la filosofia giapponese si presenta come una sfida audace. Fra gli autori che sostengono questa sfida, bisogna ricordare anche Abe Masao (1915-2006).
Abe Masao è stato professore emerito dell'Università di Nara, ed è considerato unanimemente come uno degli ultimi membri della cosiddetta Scuola di Kyoto, la più rappresentativa e originale scuola di pensiero del mondo accademico giapponese. Egli fu un bravo commentatore e divulgatore del lavoro di Nishida Kitaro. Inoltre recuperò i grandi classici buddhisti, come gli studi di Dogen, propendendo per una attualizzazione del buddhismo nell'ambito filosofico contemporaneo. Il testo più significativo e importante che scrisse fu Zen and Western Thought (1), un caposaldo della filosofia comparativa. L'opera di Abe Masao è il tentativo di mostrare i limiti della logica e del linguaggio attraverso la logica e il linguaggio stessi. Un paradosso che serve a delucidare il carattere illusorio della conoscenza. Tutto è illusione, compresa l'illusione di conoscere il carattere illusorio della realtà. Il nucleo centrale di questo pensiero è nella logica del sokuhi, una particolare logica giapponese basata sul principio del "è eppure non è". Secondo Suzuki Daisetsu, si può affermare dicendo che "a è a perché a non è a", in palese opposizione alla logica aristotelica che dice che "a è uguale a se stesso" (principio di identità). La formalizzazione (2) di tutto ciò nella logica simbolica è molto semplice:

a = a (principio di identità)
~ ( a ^ ~ a ) (principio di non-contraddizione)
a = a → a = ~ a (principio del sokuhi)

La logica occidentale non ha accettato pedissequamente i princìpi aristotelici, anzi li ha spesso contestati avvicinandosi piuttosto alle considerazioni dei maestri orientali (sostenitori di una logica più concreta e meno astratta). D'altronde per mantenere un'unità del pensiero occidentale, si sono nascoste le tante obiezioni dei pensatori più originali (3). David Hume, nel Trattato sulla natura umana (4), critica il principio di identità dicendo che non si può affermare che un oggetto sia identico a se stesso se non limitiamo il periodo di tempo stabilito. Inoltre Hume critica la possibilità di intendere l'identità come una relazione. Infatti dovrebbe essere una relazione di tipo molto particolare, ossia una relazione con se stesso. In questo modo non si distingue la relazione dal mero attributo di esistere. Ludwig Wittgenstein (5) fu altrettanto intransigente. Egli affermò che "dire di due cose che esse sono identiche è un non senso, e dire di una che essa è identica a se stessa non dice nulla" (Tractatus logico-philosophicus, par. 5.5303).
La filosofia giapponese non è però interessata alla confutazione del principio di identità. Essa sostiene qualcosa in più, qualcosa che è diverso. Il principio del sokuhi dichiara che l'identità esiste solo nella negazione. La parola sokuhi è composta da due kanji, il primo significa equivalenza, il secondo negazione. Secondo Abe Masao, le cose sono uguali perché sono diverse, e ciò accade perché esistono nel cambiamento. Tutto ciò che esiste lo è in quanto tale poiché diviene. Quindi esso "è eppure non è". La filosofia occidentale ha ignorato un aspetto dell'esistenza, ritenendo che l'identità non sia la differenza. Il sistema di pensiero della tradizione cristiano-giudaica è ostile alla diversità. La polarità di bene e male non è conciliabile, ovvero non c'è riconciliazione fra Dio e Satana. Il buddhismo non concepisce un'opposizione e un dualismo così assoluto ed esclusivo. Al contrario, sostiene il relativismo. Tutte le creature sono partecipi della natura di Buddha, e nessuno vi è escluso.
Abe Masao ricerca nel buddhismo le espressioni di ciò che indica la possibilità di attingere la non dualità (funi), e permetta quindi di superare la distinzione tra l'identità e la differenza. In termini religiosi, significa comprendere la propria natura di Buddha, capire che non c'è distinzione tra il soggetto e Buddha. Chi vede che Buddha è in ogni cosa è Buddha, e Buddha è in lui perché è in ogni cosa. Questo atto è un'esperienza che svela il carattere autentico della realtà, ovvero che essa è una cosa unica. Non esiste un oggetto separato dal mondo, bensì ciascun oggetto è compartecipe del mondo, esso stesso è il mondo. Per questo motivo l'identità da sola è un non senso. Gli oggetti esistono soltanto in virtù della relazione con gli altri oggetti. Esiste perché da solo non potrebbe esistere, dunque è altro da sé, è diverso.
Per quale motivo l'uomo comune non è capace di riconoscere la realtà così come abbiamo appena descritto? Dipende dai condizionamenti sociali che imbrigliano la mente umana e la rendono succube di una visione isolante, limitativa e inautentica. L'egocentrismo impedisce di vedere liberamente le cose così come sono. L'attaccamento all'ego tende a rafforzare l'idea di un'identità sempre uguale a se stessa. Eppure l'ego è una costruzione artificiale determinata dai ruoli sociali interpretati. La personalità, l'io, è un aggregato di corpo, sensazioni, pensieri, volontà e coscienza che presi isolatamente sono vuoti di contenuto. La consapevolezza del carattere illusorio dell'io è ciò che ci libera dai suoi condizionamenti, sia interni sia esterni. Tutto ciò che ha forma è illusione. E quando si vede che ogni forma è vuota, si riconosce il tutto che è il Buddha. Tutte le cose sono Buddha. L'identità è diversità, e la diversità è identità. In conclusione, soltanto attraverso questo tipo di relativismo (6) si può dissolvere l'inganno dei sensi e della mente. Rifiutare la diversità comporta inevitabilmente la crisi che conduce al conflitto.

Note

1. Cfr. Abe, Masao, Zen and Western Thought, University of Hawaii Press, Honolulu, 1985.
2. Per la formalizzazione si sono seguite le regole dei manuali adottati nei corsi di logica. Cfr. Marsonet, Michele, Logica e linguaggio, Pantograf, Genova, 1993; Agazzi, Evandro, La logica simbolica, La Scuola, Brescia, 1990. Per ulteriori approfondimenti: Quine, Willard Van Orman, Manuale di logica, Feltrinelli, Milano, 1968; Strawson, Peter Federick, Introduzione alla teoria logica. Einaudi, Torino, 1975; Carnap, Rudolf, Sintassi logica del linguaggio, Silva, Milano, 1961.
3. L'unità del pensiero occidentale corrisponde più spesso a un'esigenza politica. Sulle manipolazioni politiche della scienza si legga Paul Feyerabend. Cfr. Feyerabend, Paul, Ambiguità e armonia, Laterza, Roma-Bari, 1996; Feyerabend, Paul, Dialogo sul metodo, Laterza, Roma-Bari, 1993.
4. Cfr. Hume, David, Trattato sulla natura umana, Laterza, Roma-Bari, 1978.
5. Cfr. Wittgenstein, Ludwig, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino, 1964. Per la convergenza del pensiero di Wittgenstein con lo zen si leggano i seguenti testi: Martorella, Cristiano, Affinità fra il buddhismo zen e la filosofia di Wittgenstein, in "Quaderni Asiatici", n.61, marzo 2003; Nakamura, Hajime, Wittgenstein ni okeru chinmoku, in "Wittgenstein", Gendaishiso, numero speciale Voll. 13-14, Seidosha, Tokyo, 1985.
6. Leonardo Vittorio Arena ha sottolineato l'importanza del lavoro di Abe Masao, sostenendo anche l'attualità della filosofia giapponese che enfatizza il relativismo culturale. Il Giappone ha dimostrato con la propria civiltà che è possibile qualcos'altro. Il capitolo su Abe Masao è in Arena, Leonardo Vittorio, Lo spirito del Giappone. La filosofia del Sol Levante dalle origini ai giorni nostri, Rizzoli, Milano, 2008, pp. 340-346 .

Bibliografia

Abe, Masao, Zen and Western Thought, University of Hawaii Press, Honolulu, 1985.
Abe, Masao, A Study of Dogen. His Philosophy and Religion, State University of New York Press, Albany (NY), 1991.
Abe, Masao, The Logic of Absolute Nothingness, as Expounded by Nishida Kitaro, in "The Eastern Buddhist", n.2, XXVIII, 1995.
Arena, Leonardo Vittorio, Lo spirito del Giappone. La filosofia del Sol Levante dalle origini ai giorni nostri, Rizzoli, Milano, 2008.
Arena, Leonardo Vittorio, Storia del buddhismo Ch'an, Arnoldo Mondadori, Milano, 1992.
Hoover, Thomas, La cultura zen, Arnoldo Mondadori, Milano, 1981.
Hume, David, Trattato sulla natura umana, Laterza, Roma-Bari, 1978.
Martorella, Cristiano, Gioco linguistico e satori, Relazione del corso di Filosofia del Linguaggio, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Genova, 1999.
Martorella, Cristiano, La verità e il luogo, in "Diogene Filosofare Oggi", anno II, n. 4, giugno-agosto 2006.
Martorella, Cristiano, Il pluralismo del doppio, in LG Argomenti, n.3, anno XXXVIII, luglio-settembre 2002.
Martorella, Cristiano, Affinità fra il buddhismo zen e la filosofia di Wittgenstein, in "Quaderni Asiatici", n.61, marzo 2003.
Nakagawa, Hisayasu, Introduzione alla cultura giapponese. Saggio di antropologia reciproca, Bruno Mondadori, Milano, 2006.
Nishida, Kitaro, Nishida Kitaro zenshu, Iwanami, Tokyo, 1966.
Nishida, Kitaro, La logica del luogo e la visione religiosa del mondo, L'Epos, Palermo, 2005.
Nishida, Kitaro, L'io e il tu, Unipress, Padova, 1997.
Nishida, Kitaro, Il corpo e la conoscenza, Cafoscarina, Venezia, 2001.
Nishida, Kitaro, Uno studio sul bene, Bollati Boringhieri, Torino, 2007.
Nishitani, Keiji, La religione e il nulla, Città Nuova, Roma, 2004.
Ueda, Shizuteru, Zen e filosofia, L'Epos, Palermo, 2006.
Vianello, Giancarlo, Messaggeri del nulla. La scuola di Kyoto in Europa, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006.
Wittgenstein, Ludwig, Tractatus logico-philosophicus, Einaudi, Torino, 1964.